domenica 31 agosto 2008

"Al cittadino non far sapere" di Marco Travaglio

Grazie alle intercettazioni giustamente pubblicate da Panorama, sappiamo come si comportava il premier Romano Prodi dinanzi a richieste di raccomandazione. Quando il consuocero, primario a Bologna, chiedeva fondi pubblici per una struttura pubblica di ricerca biomedica, Prodi passò la pratica al ministro competente Mussi, che liberamente decise di no.
Idem quando un amico industriale farmaceutico chiese agevolazioni fiscali per una fondazione scientifica: la pratica passò al Tesoro che, avendo già deliberato per il 2007, suggerì di rifarsi vivo nel 2008 (nulla di fatto anche in quel caso). Quando invece un nipote chiedeva consigli privati per una società privata, Prodi privatamente glieli dava. Grazie, poi, alle dichiarazioni di Prodi, abbiamo almeno un politico (purtroppo in pensione) che non ha nulla da nascondere e dunque chiede di pubblicare tutte le sue telefonate intercettate. E rifiuta la solidarietà pelosa di chi, a destra e a sinistra, vorrebbe il silenzio stampa per legge. Anche stavolta, come ciclicamente accade da qualche anno, cioè da quando le intercettazioni hanno svelato ai magistrati (e ai cittadini italiani) gravissimi scandali, s’è messa in moto la compagnia di giro specializzata nell’invocare «una legge sulle intercettazioni»: guinzaglio ai giudici e bavaglio ai cronisti. Solo che stavolta lorsignori non si sono accorti di un particolare non da poco: quelli pubblicati da Panorama non sono atti pubblici, cioè già depositati a indagati e avvocati, dunque raccontabili dalla stampa. Sono atti ancora coperti da segreto, custoditi ­ come scrive un po’ comicamente Panorama ­ in una cassaforte della Procura di Roma, cui li ha trasmessi per competenza quella di Bolzano che indaga su tutt’altro (Siemens-Italtel). Dunque chi li ha passati a Panorama ha commesso un reato: art. 326, rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. Il quale è punito col carcere da 6 mesi a 3 anni, insieme al giornalista che concorre nel suo reato. Dunque è già vietato dalla legge vigente divulgare notizie segrete e non c’è bisogno di farne un’altra per vietarlo di nuovo. Si dirà: ma le notizie segrete continuano a uscire.
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