sabato 7 gennaio 2012

Anoressia: malattia d’immagine


Il 17 novembre 2010 moriva a Tokyo Isabelle Caro, modella e attrice francese, divenuta icona nella lotta all’anoressia nel 2007 posando nuda per una famosa campagna choc di Oliviero Toscani. Aveva 28 anni, pesava 31 chilogrammi ed era alta 1 metro e 67
Isabelle Caro

ROMA - I numeri legati ai disturbi del comportamento alimentare sono allarmanti. Solo in Italia si stima che almeno il 5% della popolazione (circa 3 milioni di persone) soffra di problemi connessi a disturbi alimentari. Bulimia e anoressia nervosa sono gravi malattie di natura comportamentale generate spesso da una cattiva percezione dell’immagine del proprio corpo.
La scienza negli ultimi anni ha indagato a fondo questo fenomeno e  messo in evidenza un ruolo centrale esercitato dai mass media. Negli ultimi cinquanta anni il mondo della moda ha ridisegnato il prototipo di bellezza delle sue modelle snellendolo di molte taglie. L’immagine del corpo perfetto che ne deriva, frutto di un incessante bombardamento mediatico, causa ogni anno migliaia di vittime soprattutto tra ragazze in età adolescenziale.
L’anoressia, nelle fasi più avanzate e drammatiche della malattia, crea i presupposti per l’insorgenza di una complessa sindrome debilitante chiamata cachessia che si manifesta tramite una grave forma di deperimento organico dovuta ad una forte perdita di massa muscolare, tessuto adiposo e peso corporeo.  

Oltre ad essere legata a disturbi del comportamento alimentare, tale sindrome si sviluppa anche in soggetti affetti da gravi patologie croniche. Parliamo di pazienti oncologici in fase avanzata, malati di HIV, diabetici, cardiopatici, soggetti affetti da cirrosi epatica, malattie autoimmuni, disfunzioni neurormonali e insufficienza renale.
Fuori dal contesto patologico invece tale complicanza si riscontra tra i tossicodipendenti, i grandi ustionati, anziani o a seguito di una prolungata inattività fisica. Ad ogni modo si tratta di una sindrome ancora poco studiata sotto il profilo metabolico, poco percepita dalla società, ma dal forte impatto clinico. A dispetto del gran numero di patologie e soggetti coinvolti, infatti, la comunità scientifica ha cominciato a mostrare attenzione verso la cachessia solo di recente. Basti pensare che la neonata ‘Society on Sarcopenia, Cachexia and Wasting Disorders’ ha tenuto lo scorso dicembre a Milano la sua sesta conferenza internazionale dove ha affrontato, tra i vari argomenti a tema, quello dell’elaborazione di una definizione consenso non ancora pienamente maturata in ambito scientifico.
Studi preclinici hanno finora dimostrato che all’origine di questa sindrome intervengono fattori specifici in base al tipo di malattia cronica coinvolta, capaci tuttavia di agire secondo meccanismi molecolari simili. Tali segnali promuovono una rapida degradazione delle proteine muscolari portando alla tipica atrofia osservabile nei soggetti cachettici. Un deperimento generalizzato che passa per un’alterazione del metabolismo glucidico, una cospicua perdita di efficacia dei farmaci utilizzati nella cura della malattia primaria e una forte riduzione della funzionalità muscolare in termini di resistenza e forza di contrazione. Uno sconfortante quadro clinico in grado di peggiorare la prognosi e dunque la qualità della vita del paziente.
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