venerdì 21 novembre 2008

La mafia liquida e la crisi in borsa - di Antonio Ingroia

Sono passati vent’anni da quando un magistrato lungimirante ed esperto come Giovanni Falcone lanciò l’allarme: “la mafia è entrata in borsa”. Falcone non improvvisava, né tirava ad indovinare. La sua diagnosi si fondava su precisi e concreti elementi di prova che aveva personalmente riscontrato nelle sue indagini sul versante affaristico di Cosa Nostra, infiltratasi ormai da un pezzo nei santuari della finanza ed economia del Nord Italia. Di tempo ne è passato, il sistema economico è cambiato, siamo nell’epoca della globalizzazione, globalizzazione dell’economia legale e dell’economia illegale. Ed è cambiata la mafia, una mafia apparentemente meno sanguinaria, che sembra avere abbandonato le strategie criminali stragiste, di contrapposizione frontale contro le istituzioni, meno piedi “incritati”, minore attaccamento alla terra, e perciò meno investimenti in terre e palazzi, più agevolmente individuabili dagli inquirenti, e quindi più facilmente soggetti a sequestri e confische. Nel contempo, una mafia costretta ad allentare un po’ il controllo del territorio sotto la pressione dell’azione repressiva dello Stato e di una nuova coscienza civile. Ma Cosa Nostra, si sa, è sempre stata capace di fare di necessità virtù, ed ecco che la sua forzata “deterritorializzazione” la rende meno solida e pesante, una mafia che a forza di restare sommersa è diventata “mafia liquida”, dalla struttura sempre più leggera ed invisibile, con una maggiore capacità di mimetizzazione e di espansione al di fuori dei territori d’origine.
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http://www.antimafiaduemila.com/content/view/11002/78/

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