Il cattivissimo Renato Brunetta s’impone qualche pausa nella sua diuturna guerra ai fannulloni ed agli approfittatori. Dopo avere assestato randellate ai perditempo negli uffici pubblici e avere disboscato l’area dei consulenti che infestava la pubblica amministrazione si è preso qualche giorno di riposo. Non potrebbe spiegarsi diversamente il fatto che il governo in carica, ed il suo Ministero in particolare, non ha dato seguito, anzi ha lasciato che andasse a male, la norma che imponeva un tetto agli stipendi dei manager pubblici.
Era stato proposto da due deputati nella precedente legislatura, Massimo Villone e Cesare Salvi, grazie ad un emendamento votato durante uno dei tanti blitz al tempo del governo Prodi. Approvata in Parlamento, la norma che non permetteva ad alcun pezzo grosso di guadagnare più di 289 mila euro al mese, quanto il Presidente della Corte di cassazione, avrebbe dovuto essere attuata nel corso della legislatura attuale.
Facile a dirsi, Renato Brunetta era troppo indaffarato nella sua caccia ai perditempo, così il governo ne ha approfittato per fargli un brutto tiro.
Con un decreto nel mese di giugno dello scorso anno, la norma venne congelata e i pezzi grossi tirarono un sospiro di sollievo. E’ presumibile, ma non ne siamo sicuri, che abbiano “scaminato”, come si dice in Sicilia, per evitare l’onta di quel declassamento stipendiale. Non sarebbe stato per loro un problema di soldi, ma di dignità. Che figura ci avrebbero fatto in famiglia e con gli amici nel subire una diminuizione di stipendio? Un colpo assestato alle competenze, alla diligenza, al lavoro profuso. Hanno dovuto battersi come un sol uomo, letteralmente, per evitare lo scempio. Ed hanno trovato, pare senza grandi difficoltà, ascolto e comprensione. Il tetto fu congelato per tre mesi, in modo da affidare al cattivissimo Brunetta il compito di dare applicazione alla norma sul tetto degli stipendi. Invece che agire e partire in quarta, come è solito fare, Renato ha dovuto tenere conto del punto di vista di Giulio II, il Ministro del Tesoro. Anche lui, affollato di incombenze. Così’ si è perso tempo, ma non per cattiva volontà. I fatti, certe volte, sommergono anche i bene intenzionati.
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