Il premier: non è ad personam. Dure critiche da Pd, Idv e Anm
ROMA
Parte la «riforma epocale» della giustizia italiana, con un applauso che il Consiglio dei ministri, dopo aver approvato il progetto, ha tributato al ministro della giustizia Angelino Alfano.
Il percorso sarà lungo e non si sa quanto scorrevole: ci vuole la doppia lettura da parte di Camera e Senato e, se non sarà approvata da almeno due terzi dei parlamentari, potrebbe scattare la tagliola del referendum confermativo (l’unico che non ha bisogno di quorum al 50 per cento). Intanto risponde già picchie il Pd. Pier Luigi Bersani prevede che «si butterà la palla avanti per due anni, con una discussione a vuoto su una riforma costituzionale mentre i problemi della giustizia sono completamente dimenticati e il servizio giudiziario non sta funzionando». Il segretario Pd ribadisce il no alla riforma e mette soprattutto all’indice «il ruolo diretto del governo sui pm, interferendo direttamente nella loro attività».
Il Guardasigilli sintetizza la nuova giustizia con queste parole: «il giudice in alto, con il pm e il cittadino allo stesso livello». Silvio Berlusconi esulta: l’aspettavo dal 1994, il caso Ruby non c’entra assolutamente. Anzi: «è un punto qualificante della nostra azione di governo, una riforma organica, di prospettiva e di profondo cambiamento che non ha nulla a che fare con i processi in corso». Aggiunge il premier che tra i punti salienti vi sono l’inappellabilità delle assoluzioni in primo grado e la parità tra accusa e difesa nel contraddittorio. Insomma, il «giusto processo». Che, per posizione unanime dei ministri, è un istituto «atteso da anni» (Gianfranco Rotondi) ed «attento ai pesi e contrappesi della democrazia» (Stefania Prestigiacomo). Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, invita poi le opposizioni a non rendersi succubi dei magistrati che minacciano lo sciopero.
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