mercoledì 10 agosto 2011

La liquidazione esentasse degli onorevoli


La povertà e il bisogno, si sa, sono una brutta cosa. Specialmente in tempi di crisi. Per questo, uno Stato che si rispetti deve per forza aiutare i più deboli. Ad esempio, gli onorevoli.
Già costretti a un lavoro di merda – ore e ore di noiosissimi dibattiti da seguire, leggere le bozze Calderoli facendo lo slalom tra le macchie di polenta e osei sui fogli, a volte addirittura votare per il collega – almeno bisogna lasciare in pace la loro liquidazione.
Ecco perché leggere sulla Stampa chegli onorevoli
Quando escono dal Parlamento, ricevono pure una buonuscita, accantonata grazie ai contributi mensili defalcati dalla busta paga, ma che non ha uguali in Europa: dopo cinque anni sullo scranno, 46.814 euro, dopo 15 anni oltre 140 mila euro. E c’è un particolare non indifferente, inserito tra parentesi in uno studio commissionato dalla Camera sui trattamenti economici dei parlamentari in Europa: gli euro della liquidazione sono tutti esentasse, tecnicamente detti «importi non imponibili». E già, mentre le liquidazioni degli italiani sono sempre tassate (dal 23 al 27%), quelle dei deputati sono esentasse. E’ vero che, a differenza dei sindaci, i deputati versano dei contributi: ogni anno circa 9 mila euro e moltiplicando per cinque si arriva a 45 mila euro.
Fa venire in mente una necessità: visto che però il fisco, si sa, è infido e traditore, perché non pagare stipendio e liquidazione su un conto alle Cayman?

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