CITTA' DEL MESSICO - Se finora profilattici, microbicidi, comportamenti non a rischio sono stati i pilastri della prevenzione dell'Aids, all'elenco si aggiungono oggi anche i farmaci antiretrovirali. A metà degli anni '90 questi farmaci hanno cambiato il volo dell'epidemia, permettendo alle persone sieropositive di vivere più a lungo e di avere una buona qualità di vita. Adesso, nella conferenza mondiale sull'Aids di Città del Messico, annunciano un altro giro di boa nella lotta all'infezione: per la prima volta diventano strumenti di prevenzione veri e propri. Lo dimostra lo studio presentato e pubblicato sul Journal of Infectious Disease. La ricerca è stata condotta in Canada, nel Centro di eccellenza per la ricerca sull'Aids dell'università della British Columbia diretto da Julio Montaner, presidente della Società Internazionale per l'Aids (Ias). Sulla base dei successi registrati negli ultimi anni somministrando sempre più precocemente la terapia antiretrovirale altamente aggressiva (Haart), i ricercatori hanno elaborato un modello matematico che descrive che cosa potrebbe accadere se un maggior numero di persone con il virus Hiv al mondo ricevessero i farmaci. Sono risultati così tre scenari, corrispondenti all'aumento della somministrazione dei farmaci dall'attuale 50% al 75%, al 90% e al 100%: le nuove infezioni potrebbero ridursi, rispettivamente, del 30%, 50% e 60% nei prossimi 25 anni con un risparmio in termini di spesa sanitaria compreso fra 110 e 368 dollari canadesi per ciascun paziente. Montaner non ha dubbi che i risultati di questo studio faranno da apripista e potranno avere ripercussioni in tutto il mondo.
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