sabato 27 giugno 2009

Non dittatura, ma sultanato: intervista a Giovanni Sartori

In questa intervista Sartori parla, attraverso alcune parole chiave del suo ultimo libro, Il sultanato, della situazione italiana, politica ed economica: poco ottimismo, molta amarezza e soprattutto tanta preoccupazione per le sorti del nostro PaeseIl suo libro si chiama Il Sultanato ed è un titolo molto evocativo. Che tipo di sultanato c’è nel nostro Paese?Il sultanato è un’invenzione spiritosa. Quello che mi premeva era bloccare la definizione della sinistra che continua ad affermare che Berlusconi è un dittatore perché non bisogna gridare al lupo prima che il lupo arrivi. Il lupo è vicino, ma a forza di dirlo la gente si abitua e al momento giusto quest’arma polemica sarà spuntata. Ho preferito l’immagine storica del sultanato, che non dà l’idea del dittatore degli anni venti e trenta che rifaceva o cancellava la costituzione e che si proclamava dittatore con compiacimento. Ora il processo è diverso: le tentazioni di un potere poco controllato, anche assoluto, avvengono svuotando la democrazia dall’interno, in sostanza cancellando sempre più la resistenza dei contropoteri, delle controforze sulle quali si fonda il costituzionalismo liberale. Questo è quello che avviene oggi, in futuro non si sa. Berlusconi secondo me è sempre più megalomane e potrebbe essere pericoloso. A lui interessa comandare, quello che conquista è suo e sul suo comanda lui, punto e basta. È questo assolutismo di fatto più che di diritto che ho voluto evocare con la nozione di sultanato.L’italia e il mondo stanno attraversando una fortissima crisi economica. Secondo lei, con i provvedimenti che sono stati presi dal Governo in questo ultimo anno ci permetteranno di superare una situazione così critica?La crisi è globale, la nostra fortuna è che noi siamo stati un po’ periferici in questa avventura, abbiamo banche più prudenti, industrie meno colossali e quindi meno esposte a rischi di crollo improvviso. Ma la verità è che l’Italia non ha un soldo e ha un colossale debito pubblico che ora con la crisi aumenta. Quando il debito pubblico è il 110 del Pil vuol dire che un paese è a rischio. Lo è sempre stato e in questa situazione lo è ancora di più. Che si possa rimediare stampando soldi per fortuna non è più consentito perché lo farebbero subito... D’altronde, ogni volta che c’è un’elezione Berlusconi annuncia una diminuzione o un taglio delle tasse, ma la cassa è vuotissima, siamo al verde. Le promesse di Tremonti sono vuote, non dico per colpa sua, ma perché dietro non c’è nulla, non ci sono strumenti d’attuazione, il paese ormai è arrugginito nelle sue infrastrutture, la gestione pubblica non funziona più, quindi noi siamo a rischio più per ragioni tipicamente italiane che per quelle che hanno scatenato la crisi globale, che ancora non è superata perché non abbiamo neanche misurato completamente il buco prodotto dalla follia del subprimes.
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