venerdì 4 giugno 2010

Donne e pensioni, dall‘800 al 2000

La Commissione Europea ci manda un nuovo ultimatum: sono inammissibili le misure adottate da Sacconi e Brunetta, per adeguare entro il 2018 l’età della pensione delle donne alla stessa età prevista per gli uomini, cioè a 65 anni. Perché si tratta di una norma discriminatoria. Detta così, molte donne italiane sorrideranno amaro. Discriminatorio il fatto di andare in pensione prima degli uomini? Sì. Intanto perché così, dopo retribuzioni più basse, lo sono anche le pensioni. E poi perché queste norme sono un retaggio antico, un “regalo” per le donne che lavorano che – come molte sanno bene – lavorano due volte, anzi tre o quattro: sul posto di lavoro, ma anche come mamme che accudiscono figli troppo spesso “dimenticati” da padri indaffarati. Mogli che accudiscono casa e marito. Figlie che si prendono cura di genitori quando non dei suoceri. Un regalo leggermente avvelenato: perché così le giovani nonne hanno anche più tempo per seguire gli adorati nipotini. Una vecchia storia, questo welfare in salsa italiana che – nel solco di una tradizione politica bipartisan – tanto piace al ministro Sacconi, che ci ha scritto un pomposo libro bianco che in due parole dice: il welfare pubblico costa troppo, il lavoro di cura lo facciano le famiglie. Cioè le donne. Una trappola in cui purtroppo molte cadono: il “privilegio” di essere l’angelo della casa, della famiglia, la custode del desco, del nido piace. Forse perché fanno finta di non vederne il paternalismo, l’implicito “stai al posto tuo, carina”.
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