La proposta del ministro dell’Economia di sospendere per 3 anni una parte dell’art.41 per liberare le imprese da “lacci e lacciuoli” sembra il classico tentativo di buttare la palla in tribuna. Sulla scarsa conoscenza giuridica del nostro e sull’impossibile applicabilità della sua proposta ha già scritto Tommaso Caldarelli. Buffo sentire esaltare il liberalismo da un seguace dell’economia sociale di mercato all’europea, che rispetto alla economia di mercato pura all’americana fissa la funzione sociale della proprietà privata.
Uno che fino a ieri ha citato continuamente Colbert saprà che ribaltare quel principio significa ribaltare non solo la Costituzione repubblicana ma anche un cardine della dottrina sociale cristiana, esposto di recente nella “Caritas in veritate” di Joseph Ratzinger. Curioso anche ricordare che il governo di cui Tremonti fa parte ha fatto a pezzi anche il poco che c’era delle famose “lenzuolate” di Bersani, ora improvvisamente apprezzate. Ma pure che la coerenza di Tremonti sia scarsa è storia nota.
E’ nel merito, facendo finta di dare credito a chi non lo merita, che vale la pena di riflettere. A partire da una costatazione: di maggiore mercato, di più concorrenza, di libertà economica l’Italia ha un gran bisogno. Ma è necessario per questo cambiare l’art. 41? Quello che introduce nella nostra costituzione il sistema economico di tipo misto, nel quale si afferma che “l’iniziativa economica è privata” per cui il singolo può decidere cosa come e quanto produrre, però non “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
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