Sindrome di Moebius: a Parma, grazie all'iniziativa di un papà si è sviluppato un centro di alta competenza
MILANO - Tredici anni di differenza tra Stefano e Giulia. Quasi venti separano Stefano da Tommaso. Tra lui e Giulia, invece, di anni ne mancano solo cinque. Le loro vite hanno viaggiato su binari paralleli. Fino all’incontro, in quella «stazione» di arrivo e di partenza per nuove destinazioni che sono diventati gli Ospedali Riuniti di Parma. È qui che l’impegno e la caparbietà di Renzo De Grandi, padre di Giulia e fondatore dell’Associazione italiana sindrome di Moebius, e le competenze di un’équipe multidisciplinare hanno fatto nascere la struttura di fatto più qualificata per la cura della sindrome di Moebius in Italia (è partita una richiesta perché lo diventi anche di diritto), prima nella casistica anche a livello europeo. Per ora, solo la Regione Emilia Romagna l’ha riconosciuta come Centro di riferimento del suo territorio. A Parma i pazienti possono contare su una squadra integrata di otorinolaringoiatri, odontoiatri, oculisti, neurologi, logopedisti, psicologi, ortopedici e chirurghi maxillo-facciali. Grazie a loro,Stefano Pieri, 27 anni di Prato, Giulia De Grandi di 14 e Tommaso Ciampichetti, 9 anni di Ancona, sono diventati ex «bambini senza sorriso».
Stefano, Giulia e Tommaso sono stati vittime di quella malattia rara - sembra di natura genetica, anche se non ne esiste la certezza - la cui manifestazione principale è la mancanza di movimento dei muscoli facciali. «I bambini colpiti da questa sindrome non possono sorridere, chiudere le palpebre, muovere gli occhi, chiudere la bocca, — spiega Renzo De Grandi, 45 anni, dirigente di Muggiò, in Brianza — non hanno alcuna espressività della faccia. Insomma non possono esprimere tramite il volto le loro emozioni e i loro sentimenti».
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