lunedì 16 gennaio 2012

Il sesto senso della lingua


Non solo dolce, salato, amaro, aspro e piccante, ma anche grasso. Una proteina, se carente, ne inibisce la percezione.

MILANO – C’è chi si alza da tavola pago e felice, dopo aver goduto di tutti i sapori che ci regalano le papille, compreso il grasso, ultimo arrivato tra i gusti. E c’è chi dei cibi ipercalorici non è mai soddisfatto, ma non sarebbe giusto etichettarlo come semplice goloso. Infatti l’ultimo studio in materia individua nel «fat» il sesto gusto della lingua (oltre al salato, dolce, aspro, amaro e il piccante, recentemente identificato) e parla anche di una variante ipoattiva di un gene che, in chi la possiede, non consente di percepire a sufficienza questo sesto sapore. E fa ingrassare le persone.
IL GRASSO È COME IL DOLCE O IL SALATO - Per secoli si è ritenuto che gli esseri umani potessero percepire attraverso la lingua quattro sapori: dolce, salato, aspro e amaro. Poi ne è stato scoperto un quinto chiamato umami (piccante), e ora uno studio della Washington University School of Medicine ne aggiunge un sesto: il grasso. Gli scienziati americani hanno infatti individuato un recettore chimico nelle papille gustative della lingua che riconosce le molecole di grasso. Ma una proteina, che varia da persona a persona e che è incaricata di metabolizzare i lipidi, ne influenza la percezione e, se insufficiente, fa sì che di questo sesto gusto non se ne abbia mai abbastanza. Contribuendo all’obesità.
LA RICERCA - Lo studio, pubblicato sul Journal of Lipid Research, ha coinvolto 21 partecipanti sovrappeso invitati a degustare tre tipi di olio, uno dei quali ad alto contenuto di lipidi. L’individuazione dell’olio grasso non è stata facile per tutti i volontari e gli esperti hanno potuto notare diversi livelli di percezione. Inoltre esiste una proteina chiamata CD36 deputata a riconoscere il grasso e, se questa è carente, la sensibilità al grasso è ridotta, il che spiegherebbe il motivo per cui esistono persone che non si saziano mai di cibi ipercalorici. In particolare gli scienziati hanno notato che coloro che producono livelli più alti di CD36, rispetto a chi ne fabbrica la metà, percepiscono con maggior facilità la presenza di grassi negli alimenti e per l’esattezza la avvertono otto volte di più.
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