martedì 20 maggio 2008

Protestano in catene contro lo Stato "Mai più faremo i nomi dei mafiosi"

ROMA - Quando è stato il momento di testimoniare contro gli assassini dei loro fratelli, non ci hanno pensato su due volte: cercavano giustizia e parlare era l'unica strada praticabile. Ma a distanza di sedici anni, non lo rifarebbero più. Sono stanche di vivere come fantasmi. Hanno perso il lavoro, abbandonato il paese dove erano nate, tagliato i rapporti con gli amici e i fidanzat, cambiato identità. E non basta:
"Avere il coraggio di dire la verità è costato troppo".
Rosa e sua sorella Maria si sono incatenate ai cancelli davanti al ministero degli Interni. "Abbiamo testimoniato contro la 'ndrangheta perché sapevamo che lo Stato ci avrebbe protette, ma lo Stato ci ha tradito: ci aveva promesso un lavoro, un'autonomia economica che non abbiamo più da quando siamo entrate nel programma di protezione. Così non possiamo più vivere". Sono 67 i "testimoni di giustizia", una definizione tanto simile a quella di "collaboratori di giustizia" ma radicalmente diversa. I cosiddetti "pentiti", sono dissociati dall'organizzazione malavitosa. I "testimoni" spesso sono incensurati, svelano quello che sanno per senso civico e sono pronti a esporsi alla reazione della malavita pur di rimanere fedeli ai propri principi di onestà. Fino a sette anni, fa la legge prevedeva un identico programma di protezione. L'anomalia è stata corretta solo dal 2001, ma non in maniera esaustiva.
Continua ...

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