Amici, io guido un'auto americana, una Chrysler. Non è un modo per pubblicizzarla. Più che altro, sto chiedendo compassione. C'è una lunga storia, vecchia di decenni, raccontata all'infinito da decine di milioni di americani, un terzo dei quali ha dovuto rinnegare il proprio Paese solo per trovare un maledetto mezzo per andare al lavoro con qualcosa che non si rompesse: la mia Chrysler ha quattro anni. L'ho comprata per via della guida facile e comoda. Allora la società era proprietà della Daimler-Benz che ebbe la buona idea di montare una carrozzeria Chrysler su un semiasse Mercedes e, ragazzi, come va bene! Quando si mette in moto. Più di una decina di volte, in questi anni, l'auto si è rifiutata di mettersi in moto. Ho sostituito le batterie, ma il problema non era quello. Mio padre guida lo stesso modello, e anche la sua macchina è rimasta spesso in panne. Non si mette in moto, senza nessuna ragione. Qualche settimana fa, ho portato la mia auto in un'officina Chrysler, qui nel Michigan settentrionale, e l'ultimo intervento per aggiustarla mi è costato 1.400 dollari. Il giorno seguente, la macchina non è ripartita. Quando sono riuscito a metterla in moto, ha cominciato a lampeggiare la spia dei freni. E così via. Da tutto questo sarete giunti alla conclusione che non me ne freghi niente di quei poveri incapaci che costruiscono queste auto schifose, su a Detroit. Invece mi importa. Mi importa di quei milioni di persone la cui vita e il cui sostentamento dipendono dalle compagnie automobilistiche. Mi stanno a cuore la sicurezza e la difesa di questo Paese, perché il mondo sta esaurendo le scorte di petrolio, e quando sarà davvero finito, la catastrofe e la rovina saranno tali da far sembrare la crisi attuale una passeggiata.
Continua ...
http://www.repubblica.it/2008/12/sezioni/economia/crisi-6/articolo-moore/articolo-moore.html
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