martedì 7 febbraio 2012

Sull’attacco all’Iran: bombe e altre armi


Nelle ultime settimane i venti di guerra soffiano sull’Iran. Le Forze Armate di Teheran lo sanno e preparano contromisure che sono d’attacco. Rivolte al suo attaccante principale – Israele – che, del blocco occidentale intenzionato a usare la forza contro lo Stato degli ayatollah, è la punta di diamante. Ma fra gli stessi israeliani il fronte non è compatto. Non tanto quello dell’opinione pubblica che, secondo recenti sondaggi, appoggerebbe solo al 40% un’azione armata pur rivolta contro i presunti centri di produzione dell’arma atomica. Anche diversi strateghi militari di Tel Aviv temono la risposta dei generali iraniani.
Seppure non dotata della potenza aerea e balistica della IAF le testate missilistiche della Repubblica Islamica possono raggiungere le città israeliane con conseguenze disastrose per la popolazione. Ecco perché la componente occidentale, pur sempre militarista, facente capo al Pentagono resta cauta di fronte a un passo che spargerebbe non soltanto morte e distruzione nel piccolo territorio del grande alleato ebraico ma infiammerebbe un’area già ampiamente sotto pressione. L’effetto domino di una guerra locale coinvolgerebbe altre nazioni arabe amiche dell’Occidente (Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi, Bahrain) con una ripercussione su rifornimenti e mercati energetici, con ricadute sulla certezza e sulla possibilità di estrazione e distribuzione di petrolio e gas nonché sui costi di quelle merci pregiate. Una simile mossa potrebbe provocare sì nuovi interventi della Nato in una regione vastissima; a Russia e Cina non basterebbe alcun veto e forse neanch’esse potrebbero rimanere immobili.
Col Grande Medio Oriente trasformato in un gigantesco Iraq riaffiorerebbe l’incubo dal quale le truppe statunitensi si sono appena sganciate e che temono maggiormente: l’intervento di terra. Già difficile in Iraq, e ancor più in Afghanistan, quel passo diventa proibitivo sul territorio iraniano difficilmente conquistabile al suolo per la conformazione montuosa dei confini e le zone centrali paludose e desertiche.Bombardare non vuol dire occupare né piegarel’Endurig Freedom insegna. Chi vuol mettere in ginocchio l’Iran dovrà misurarsi con la compattezza difensiva del suo Esercito, l’attuale arma migliore assieme allo spirito nazionale che sempre si ricompatta di fronte al pericolo dell’attacco straniero. Quest’ultimo, infatti, è considerato da diversi analisti (cfr. dossier Ispi) un passo falso che ridarebbe spazio all’allarme politico (peraltro non fantasioso) dell’assalto alla Repubblica Islamica per mano delle storiche forze reazionarie dell’imperialismo, cementando così l’orgoglio persiano con quello delle altre comunità etniche della nazione. Senza contare che, dopo un simile assalto, dal punto di vista giuridico risulterebbe legittimata ogni ricerca rivolta alla realizzazione dell’arma atomica, tendenza finora esclusa dalle autorità di Teheran.
Propaganda antiisraeliana a Teheran
Perciò altre armi che sono già apparse nello scenario politico estero e interno iraniani (embargo internazionale e manipolazione di rivolte locali e sociali) possono risultare più utili al disegno destabilizzante. Certo negli ultimi due anni sia le ribellioni e gli attentati in Baluchistan, sia le proteste anche violente del “movimento verde” hanno prodotto solo marginali crepe nel controllo che gli ayatollah continuano ad avere sulla maggioranza della popolazione.
Continua ...

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