mercoledì 9 marzo 2011

Colonialismo italiano in Libia: un passato da svelare

- di Amalia Navoni – Coordinamento Lombardo Nord Sud del Mondo rete Lilliput-Milano -

Colonialismo italiano in Libia un passato da svelare1 medium Colonialismo italiano in Libia: un passato da svelare

Recentemente ho fatto un viaggio nel deserto della Libia. Ne ho ammirato le bellezze, ne ho gustato il silenzio e ho appreso con sorpresa, dalla guida “Libia” di Andrea Semplici, alcuni episodi raccapriccianti del nostro colonialismo in Libia negli anni 1911-43. Queste vicende sono state il “leitmotiv” del mio viaggio. Alcuni fatti mi hanno maggiormente colpita per l’atrocità, lo sterminio, il disprezzo per l’altro e la negazione della verità.

Quando nel 1911 con un motivo pretestuoso il liberale Giolitti scatena una guerra coloniale contro la Turchia che dominava la Libia, un contrattacco arabo-turco sorprende i bersaglieri italiani e ne uccide 500. La rappresaglia militare è immediata e spietata: oltre 2000 arabi sono fucilati o impiccati e cinque mila vengono deportati in Italia e confinati nelle isole di Ustica, Ponza, Favignana e Tremiti.

Deportazioni e campi di concentramento
La Libia chiede ancora oggi di sapere la verità sulla sorte dei libici scomparsi in Italia. Quando sono stata in queste isole, non ho visto alcuna traccia del passaggio di queste persone. Poiché la resistenza libica era molto forte in Cirenaica, il generale Rodolfo Graziani, inviato da Mussolini nel 1930, non esitò a mettere “a ferro e fuoco” tutta la zona. Confisca le zavie, centri spirituali ed assistenziali, sbarra con campi minati la frontiera con l’Egitto, annienta le mandrie e brucia i raccolti, usa gas e armi chimiche contro i civili. Tutta la popolazione dell’altopiano della Cirenaica, cento mila libici, viene deportata in campi di concentramento nel deserto della Sirte. In 40mila moriranno per fame, epidemie, violenze, uccisioni. Per tre anni staranno rinchiusi in questi campi delimitati da doppio filo spinato. Ogni atto di ribellione o tentativo di fuga era punito con la morte.

L’impiccagione avveniva a mezzogiorno, al centro del campo, dove tutti erano costretti a radunarsi. Ogni giorno, dicono i sopravvissuti, 50 cadaveri uscivano dal recinto. Naturalmente questi campi in Italia erano propagandati come paradisi dove fiorivano ordine e disciplina e regnavano igiene e pulizia.

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