giovedì 2 febbraio 2012

Moltiplicatori di soldi ai partiti: 1° Berlusconi, 2° D’Alema, 3° Amato


rimborsi elettorali
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di Alessandro Camilli

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ROMA – Quanto incassano i partiti in “rimborsi elettorali”? Molto più di quello che realmente spendono, e sono soldi pubblici, nostri. Dopo il referendum del 1993 c’è stata una corsa rigorosamente bipartisan a ribattezzare il finanziamento pubblico abolito per volontà popolare in rimborsi stabiliti per volontà parlamentare. E a via via rimpolpare quei rimborsi, dalle originali 1.600 lire per ogni italiano del 1993 ai cinque euro a testa del 2002. Ha cominciato Amato già nello stesso ’93, ha continuato D’Alema, non si è sottratto Prodi e ha concluso Berlusconi con una splendida doppietta. La storia del tesoriere della Margherita che ha candidamente sottratto 13 milioni di euro dalle casse del partito senza che nessuno se ne accorgesse, è la prova che i partiti, di soldi, ne hanno così tanti da non saperli contare.
Era appena passata Tangentopoli quando nel lontano 1993 gli italiani, attraverso un referendum, abolirono il finanziamento pubblico dei partiti. La decisione fu certamente emotiva, la cancellazione tout court dei fondi per le forze politiche lasciava oggettivamente delle questioni irrisolte ma, da allora, è partita una maratona che più che tentare di risolvere le suddette questioni ha di fatto puntato ad aggirare il referendum regalando ai partiti fiumi di denaro.
A dare il “la” è il governo Amato che, nell’aprile del 1993, introduce il “contributo per le spese elettorali”. All’epoca, 1600 lire per ogni italiano che risultava al censimento, compresi quelli che non avevano diritto al voto. Con questa norma le politiche dell’anno seguente, il 1994, portano nelle casse dei partiti 46,9 milioni di euro di oggi, e altri 23,4 arrivano con le europee che seguono di lì a poche settimane.
Passano 3 anni e Prodi, nel 1997, introduce la possibilità di destinare il 4 per mille a favore dei partiti, con uno stanziamento di 56,8 milioni l’anno. Ma una norma transitoria valida solo per il primo anno alza lo stanziamento a 82,6 milioni di euro nonostante le scarsissime adesioni dei contribuenti.
Ancora due anni e tocca a D’Alema che, nel 1999, definisce 5 fondi per il rimborso delle spese elettorali (elezioni di Camera, Senato, Parlamento europeo, consigli regionali e referendum). A questo aggiunge la modifica della quota “procapite” che passa da 1600 a 4000 mila lire. Più che raddoppiata ma, almeno, la base di calcolo viene ridotta e giustificata: non si tiene più conto dell’intera popolazione nazionale, ma solo degli iscritti alle liste elettorali della Camera. Con queste norme in caso di legislatura piena ogni anno vengono erogati ai partiti ben 193,7 milioni di euro. Ovviamente, stabilisce l’allora governo, è previsto che in caso di interruzione anticipata della legislatura il fiume di denaro venga sospeso. Le europee del 1999 costano alle casse pubbliche 86,5 milioni di euro; 85,9 le regionali del 2000; e 476,4 milioni di euro le politiche dell’anno seguente.
Continua ...

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