All'appello ne mancano la bellezza di seicento. Al desk dell'ufficio di presidenza della Camera, lunedì, quando si è dato il via alla raccolta delle impronte digitali dei deputati, si sono presentati solo in trenta. Del Pdl, giusto in quattro. Per la precisione: Osvaldo Napoli, Gianfranco Conte, Italo Bocchino ed il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito. Sconosciuti quasi tutti gli altri ventisei parlamentari dell'opposizione che hanno preso coraggio: si sono fatti schedare, per loro i bluff sono finiti. Il primo è stato Roberto Giachetti del Partito Democratico, Pierferdinando Casini ci ha provato, ma la macchina si è rifiutata di memorizzarle. A buon fine, invece, la rilevazione delle impronte di Silvana Mura dell'Italia dei Valori e di Enrico Gasbarra del Pd.Non ci pensa nemmeno Matteo Brigandì della Lega Nord. Per lui, uno di quelli che le impronte vuole prenderle anche ai bambini, basta che siano rom, lasciare le impronte «non è una cosa simpatica, le ho già date quando ho fatto il militare: è una questione di serietà - si schernisce - in Parlamento basterebbe fare certe cose». E fingendosi ignaro del malcostume che va avanti da legislature intere, insinua che «quando presiede il vicepresidente Buttiglione, i pianisti diminuiscono».
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