martedì 24 gennaio 2012

Referendum, le motivazioni della Consulta


Quesiti bocciati per mancanza di chiarezza e per il rischio di un vuoto normativo in caso di abrogazione del Porcellum

MILANO - L'inammissibilità del referendum per il cambiamento della legge elettorale e le motivazioni della Consulta. Con un testo articolato la Corte costituzionale ha motivato la sua decisione di rigetto dei quesiti referendari «per evitare un vuoto legislativo». «Le due richieste - si legge nelle motivazioni della sentenza- hanno lo stesso fine: l'abrogazione della legge n. 270 del 2005 (il porcellum), allo scopo di restituire efficacia alla legislazione elettorale in precedenza vigente, introdotta nel 1993 (il mattarellum).
IL VUOTO NORMATIVO - La Consulta sottolinea che «gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale non possono essere esposti neppure temporaneamente alla eventualità di paralisi di funzionamento, anche soltanto teorica. Tale principio «postula necessariamente, per la sua effettiva attuazione, la costante operatività delle leggi elettorali relative a tali organi». Insomma, un esito positivo del referendum avrebbe portato «all'eliminazione di una legge costituzionalmente necessaria, che deve essere operante e auto-applicabile, in ogni momento, nella sua interezza». In altri termini se la Consulta avesse dato il suo assenso il Paese si sarebbe trovato in assenza di norme che disciplinino le elezioni.
LA MANCANZA DI CHIAREZZA - La seconda richiesta di referendum popolare - rincara la Consulta - è inammissibile anche «per contraddittorietà e per assenza di chiarezza». «Gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale non possono essere esposti neppure temporaneamente alla eventualità di paralisi di funzionamento, anche soltanto teorica». Spiega la Corte Costituzionale motivando l'inammissibilità dei quesiti referendari che, se avessero portato all'abrogazione della legge Calderoli, non avrebbero fatto rivivere automaticamente la legge elettorale precedente, il cosiddetto Mattarellum. L'abrogazione, non solo in questo caso, avrebbe come effetto il ritorno in vigore di disposizioni da tempo soppresse, con conseguenze imprevedibili per lo stesso legislatore, rappresentativo o referendario, e per le autorità chiamate a interpretare e applicare tali norme, con ricadute negative in termini di certezza del diritto». Peraltro, «sia la giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, sia la scienza giuridica ammettono il ripristino di norme abrogate per via legislativa solo come fatto eccezionale e quando ciò sia disposto in modo espresso».
Continua ...

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