Ogni qualvolta il centro sinistra si trova con l’acqua alla gola, si ricorda della necessità di una riforma degli “ammortizzatori sociali”. Naturalmente non ha mai fatto nulla di incisivo quando poteva, lasciando cadere nel dimenticatoio progetti e programmi o gestendo malissimo quelli che aveva in cantiere. E dire che la questione - se si capisce bene di che cosa si tratta - ha una rilevanza enorme. Sull’anomalia dell’Italia rispetto agli standard europei si sarebbe dovuta coinvolgere con forza l’opinione pubblica. Infatti, mentre nella quasi totalità dei paesi europei viene garantito un reddito minimo per chi non ha lavoro o per chi lavora ma non guadagna abbastanza, in Italia non viene fatto nulla di tutto questo. Calata nel concreto, la differenza, tra noi e l’Europa è enorme. Eppure, non se ne fa parola: mai una telecamera è stata portata a documentare la realtà europea. Ma la mancanza di un sussidio universalistico è analoga, per gravità, alla mancanza negli Stati Uniti di un sistema sanitario esteso a tutti. È un tema da campagna elettorale. È una delle bandiere che impugnerebbe l’Obama italiano. E invece sulla questione è fittissimo il silenzio, sia da destra che da sinistra. Si minimizza, e si parla vagamente di riforma degli “ammortizzatori sociali”. L’Italia resta così - in compagnia della Grecia e dell’Ungheria - al di fuori dei parametri europei. Dal 1992 l’Europa ci chiede di rimediare. Ma fino ad oggi, l’abbiamo ignorata.Improvvisamente, Franceschini. Misurata sugli strumenti che esistono attualmente in Europa per far fronte alla crisi la sua proposta è, naturalmente, niente. Anzi, è la denuncia di un ritardo. Tanto più fuori dal mondo è la risposta di Berlusconi: abbiamo vincoli europei di bilancio e non possiamo spendere un punto e mezzo del Pil, 25 miliardi di euro. Ma Franceschini non aspirava a tanto. La sua è una misura d’urgenza, per la quale basterebbero 4 miliardi di euro. Quindi, poco.
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