Un milione in piazza a Tripoli, la polizia spara. Tv di stato: operazione contro terroristi. Quattro tribù in marcia sulla capitale. La Ue: stop immediato a uso forza. Berlusconi allarmato.
ROMA - Non si placa la rivolta in Libia, nonostante la sanguinosa repressione e il paese scivola verso la guerra civile. Nel pomeriggio l'aviazione ha bombardato i manifestanti in piazza a Tripoli, dove nel mattino si contavano già 61 morti, saliti nel pomeriggio a 250.
Centinaia di migliaia di persone (alcune fonti parlano di un milione) si erano radunate sulla Piazza Verde. La polizia ha aperto il fuoco sulla folla. Secondo la tv di stato i raid aerei su Tripoli fanno parte di operazioni contro covi di sabotatori e terroristi. Nella capitale sono stati incendiati i palazzi del potere. In giornata si era diffusa la voce che diverse città, tra cui Bengasi e Sirte, erano finite nelle mani dei manifestanti dopo le defezioni nell'esercito. Ma alcuni testimoni hanno smentito. Il ministro della Giustizia si è dimesso in segno di protesta «per l'eccessivo uso di violenza contro le manifestazioni». In tutto il paese sono interrotte le comunicazioni telefoniche.
L'aeronautica libica sta prendendo di mira i dimostranti sulla via al Gumhuriya che porta alla Piazza Verde, bombardando manifestanti che si dirigevano verso una base militare per procurarsi munizioni. Sul terreno le forze di sicurezza sparano contro i dimostranti diretti verso il compound di Gheddafi. Ahmed Elgazir, un operatore per la difesa dei diritti umani, ha affermato che la Libyan News Centre di Ginevra ha ricevuto una telefonata di richiesta d'aiuto da parte di una donna «testimone del massacro in corso e che è riuscita a chiamare tramite un telefono satellitare».
Voci di golpe militare. Fonti libiche hanno fatto sapere ad Al Jazeera che all'interno dell'esercito vi sarebbero grandi tensioni, al punto da poter prevedere che il capo di stato maggiore aggiunto, El Mahdi El Arabi, possa dirigere un colpo di stato militare contro il colonnello Muhammar Gheddafi, al potere da un quarantennio. Un gruppo di leader musulmani libici ha detto che la rivolta contro la leadership è un dovere divino di ciascuno.
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