Si può anche far finta di credere che il presidente Berlusconi non sia andato a Pechino per dimostrare così, con la sua assenza eloquente, l’indignazione dell’Italia contro il regime cinese e le sue infinite violazioni dei diritti umani, le libertà individuali e collettive calpestate, la repressione di qualsiasi forma di dissenso, la pena di morte usata con la facilità di chi uccide una mosca.Se fossimo bambini al di sotto degli otto anni, forse - forse – ci avremmo pure creduto. Purtroppo però è stato lo stesso premier a fugarci qualsiasi dubbio. Primo perché non ha mai detto una parola che potesse alimentare questo dubbio.E secondo perché ci ha candidamente spiegato che «mi è stato sconsigliato di andare visto che lì ci sono 50 gradi...». Comunque a rappresentare il nostro Paese è già sul posto il ministro degli Esteri Franco Frattini. Il quale non si è spinto oltre qualche timida dichiarazione in favore dei diritti umani, spiegando però a destra e a manca che lo sport con la politica non c’entra: «I nostri atleti sono qui per vincere, oggi siamo qui per giocare». Neanche le richieste di una parte della maggioranza - la ministra Giorgia Meloni e il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri – affinché dai nostri atleti arrivasse un gesto di dissenso, sono riuscite a smuovere il nostro, anzi il loro governo. D’altra parte non era molto sensato scaricare sugli sportivi all’ultimo momento l’onere di rappresentare la politica: se si voleva mandare un segnale era proprio la politica che doveva mandarlo. Tre mesi di governo sono pochi per cambiare il Paese, ma sono pure troppi per dire pubblicamente che in Cina qualcosa, anzi molte cose non vanno bene (neanche Tremonti ha detto niente, eppure lui con la Cina ha un conto aperto...).
Continua ...
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