Bestia è un termine dispregiativo usato dagli uomini per qualificare gli animali, considerandoli inferiori per autocollocarsi su un gradino più alto, molto più alto, della scala immaginaria d’importanza degli esseri viventi. È la più classica delle operazioni culturali antropocentriche, che vorrebbe qualificare l’animalità per sentirsi distaccati da essa. La “bestia” era la denominazione con cui la chiesa qualificava la parte demoniaca di ogni essere umano prima di inventare il “diavolo”, vero e proprio essere esterno che s’impossessa degli individui. Dicendo “bestia” l’uomo offende solo se stesso e la propria parte animale, che in realtà è una parte nobile rinnegata, a illusorio profitto di una presunta spiritualità. Parte nobile che, fra l’altro, quando si manifesta in autenticità, esalta e non denigra affatto né gli animali né la propria componente animale.
Mi sono chiesto perché ricorrere all’immagine della bestialità nel tentativo di definire il presunto genere antropologico oggi prevalente in Italia. Credo che sia per creare un’immagine ad effetto che, più o meno consapevolmente, richiama ad ancestrali visioni degenerative, a un diffuso decadimento che si ripercuote nel e sul sociale. Ed è un effetto molto forte e suggestivo, che suscita un impatto emotivo immediato efficace, capace d’infondere il desiderio di una rivolta dello spirito contro lo stato di cose presente. Raffinata abilità seducente dell’arte di scrivere, che senza dubbio Paolo possiede in quantità e qualità. Condividendone l’intento, ritengo però che non sia affatto sufficiente per aiutarci a comprendere né con cosa abbiamo a che fare né il magma nel quale siamo costretti a muoverci.
Continua ...
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