"Un dolore inFame" di Pamela Pace, psicoanalista che lavora da tempo su anoressia e bulimia, offre una prospettiva originale sui mali che colpiscono tantissime donne, a volte adolescenti o addirittura bambine
di SILVANA MAZZOCCHIGenitori e figlie. Anoressiche, bulimiche, schiave di disturbi alimentari e quasi sempre malate d'affetto e d'amore. La sofferenza di madri e padri alle prese con le conseguenze devastanti dell'anoressia che rende il cibo nemico per tante ragazze (il rapporto tra donne e uomini è di 9 a 1), spesso solo adolescenti o addirittura bambine, quasi sempre disposte ad arrivare alle conseguenze più estreme.
Pamela Pace, psicoanalista, psicoterapeuta, impegnata da tempo nel lavoro clinico dei disturbi del comportamento alimentare, ha scritto Un dolore inFame (edizioni Bruno Mondadori), un piccolo libro, originale e prezioso, che aggiunge uno sguardo in più, esperto e stimolante, all'analisi di un argomento frequentemente esplorato sia dalla saggistica che dalla letteratura. Originale perché capovolge l'ottica di osservazione dell'anoressia e, schierandosi con quella scuola di pensiero che ritiene fondamentale coinvolgere padri e madri nel percorso di cura, punta sui genitori per sottrarli a quei meccanismi di autoresponsabilizzazione che di solito li rendono dipendenti in tutto e per tutto dalla figlia "malata", invischiando la relazione in uno scontro senza sbocco. Prezioso, perché utile a far loro riacquisire la centralità necessaria per agire al meglio a fronte di un male che mette a rischio la vita di chi lo soffre.
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