La manovra economica approvata dal Senato non taglia gli sperperi della spesa pubblica. All'ultimo istante sono state risparmiate anche le prebende della casta parlamentare e nonostante quanto emerge dall'inchiesta sul sistema Sesto San Giovanni - e cioè il gigantesco intreccio tra l'uso della spesa pubblica e dell'urbanistica contrattata per fare cassa a favore delle lobby politico imprenditoriali - né la maggioranza né l'opposizione hanno posto all'ordine del giorno il prosciugamento del fiume di denaro pubblico che sfugge ad ogni controllo democratico. Il "sistema Penati" sta lì a dimostrare che esiste una gigantesca cassaforte piena di risorse che non viene neppure sfiorata dai provvedimenti economici in discussione in Parlamento: lì c'è un grande tesoro che permetterebbe di non tagliare lo stato sociale e risanare il paese.
Il tema del taglio al malgoverno urbano tornerà sicuramente all'ordine del giorno perché tra qualche mese ricomincerà la grancassa del «non ci sono i soldi» e - complici le autorità europee - ripartirà la rincorsa per tagliare i servizi, tagliare le pensioni, vendere le proprietà pubbliche.
Il denaro pubblico viene intercettato dalle lobby politico-imprenditoriali attraverso cinque grandi modalità.
La prima riguarda le opere pubbliche. Il volume degli investimenti pubblici nei grandi appalti è pari a circa 20 miliardi di euro ogni anno. Appena pochi mesi fa un giovane "imprenditore" (Anemone) con il fiume di soldi guadagnato in generosi appalti offerti dalla cricca Bertolaso ha potuto permettersi di contribuire all'acquisto di una casa per l'ignaro ministro Scajola: quasi un milione di euro. Ad essere prudenti una percentuale intorno al 20% ingrassa le tasche della politica corrotta e delle lobby: 4 miliardi ogni anno. Qualche tempo fa ci hanno ubriacato con l'esempio virtuoso dell'unificazione degli acquisti delle siringhe per il sistema sanitario nazionale perché ogni regione spendeva somme differenti. Tanto rigore per pochi spiccioli, mentre non sappiamo controllare quanto costa costruire una scuola o una strada.
Un secondo capitolo strettamente connesso al precedente è che molte opere pubbliche non servono alla collettività, ma vengono decise da sindaci che si sentono abilitati a compiere qualsiasi nefandezza perché «eletti dal popolo». Come a Parma, dove una falange di amministratori ha sperperato miliardi di euro in grandi e inutili opere. Ora il comune è sull'orlo della bancarotta (seicento milioni) e il sindaco è ancora lì, barricato nel palazzo. O come nel caso della faraonica piscina voluta dall'ex sindaco di Roma Veltroni a Tor Vergata: occorrerà spendere un miliardo di euro per farla funzionare. O, come emerge dall'inchiesta di Sesto San Giovanni, appalti inventati appositamente per rimpolpare i bilanci delle aziende pagatrici di tangenti (la milionaria illuminazione della tangenziale, ad esempio), o attraverso l'affidamento a prezzi protetti di servizi pubblici, come il trasporto urbano. Anche in questo caso una stima prudente ci porta a dire che possono essere risparmiati almeno 4 miliardi ogni anno.
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