Le recenti rivolte nei paesi arabi del Medioriente hanno destato serie preoccupazioni tra le autorità americane dato che alcune di queste rivolte potrebbero portare allo “sfratto” dei militari americani dalle loro basi nella regione. La regione che ha l’importanza strategica maggiore è quella del Golfo Persico. In questa la Casabianca ha piazzato la bellezza di 27 mila militari, divisi nelle basi in Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain e Arabia Saudita.
Per ora il grosso guaio è quello del Bahrain. La repressione brutale degli oppositori, per lo più sciiti, della dinastia degli Al-Khalifa sembra aver reso più decisi i rivoltosi che vogliono un vero cambiamento. Nel piccolo regno si trova il quartier generale della quinta flotta della marina usa con 4 mila soldati.
Secondo indiscrezioni, gli altri paesi nominati sono nella lista d’attesa e presto anche in questi si potrebbero vedere scene simili al Bahrain.
Secondo le dichiarazioni ufficiali del Pentagono ‘i moti popolari’ non minacciano le basi americane ma avendo un paese in preda alla rivoluzione, come minimo si può dire che gli Usa non saranno più in grado di usare al meglio tali basi.
L’ex diplomatico americano David Aaron spiega che gli Usa non hanno talloni d’Achille e che persino la chiusura di una singola base non influenza il suo potere in linea di massima ma che riduce per le forze dispiegate nella regione la possibilità di agire in forma di rete.
Ciò significa che gli americani d’ora in poi saranno più deboli nel Golfo Persico e quindi non potranno più svolgere due funzioni principali:
1) Controllare e condizionare a piacimento le rotte di esportazione del petrolio.
2) Monitorare le attività e le mosse della marina militare iraniana.
Si tratta di un cambiamento che potrebbe influenzare in maniera non poco rilevante il potere degli Usa nell’interno mondo e dare vita a nuovi scenari anche a livello internazionale.
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