Roma. Aveva promesso che non si sarebbe dimesso e che di fronte alla giunta per le autorizzazioni della Camera avrebbe ristabilito la verità. Ma il deputato del Pdl Alfonso Papa, su cui pende una richiesta d’arresto per l’affare P4, ha tenuto fede soltanto al primo dei due impegni. Pressato da «ragioni d’opportunità», spiega lui, e marcato stretto da una frangia di azzurri che lo volevano sacrificabile sull’altare degli onesti del neosegretario Alfano (come spiegano molti), l’ex magistato indagato a Napoli per concussione si è limitato ad autosospendersi dalla commissione Giustizia della Camera e dall’Antimafia. Non proprio il passo indietro che in molti auspicavano, ma un passettino di quelli in voga tra i salseri: piccolo, impercettibile, e seguito da uno in avanti che riporta i piedi dove si trovavano all’inizio. Ma è nel corso dell’audizione di fronte alla giunta per le autorizzazioni, che Papa sembra eseguire il passo di danza meno convincente del repertorio, perché l’intenzione di ristabilire la verità, si traduce infine in un’accusa di complotto che sposta le lancette indietro di dieci anni, e nulla di sostanzioso contrappone invece alle ipotesi di reato che la Procura di Napoli gli contesta oggi. Dopo aver depositato una memoria difensiva, il deputato pidiellino ha definito l’inchiesta che lo riguarda «una vera e propria caccia all’uomo» mossa da «un chiaro intento persecutorio», dettato da «odi, rancori e gelosie presenti nell’ambiente del distretto di Napoli». L’ex magistrato si è poi scagliato contro indagini «al di fuori di tutti i principi fissati dalla legge e dalle regole deontologiche» che hanno «violato palesemente le prerogative parlamentari». A dire di Papa, la Procura di Napoli è «incompetente» in quanto i fatti a lui contestati sarebbero accaduti tutti a Roma. E soprattutto perché i magistrati che hanno istruito il procedimento penale avrebbero imbastito «un abito da accollare» su di lui «con una indagine che ha visto miriadi di intercettazioni illecite» e l’ascolto «infruttuoso di oltre centotrenta testi fino ad arrivare a soggetti compiacenti». Secondo Papa, Woodcock e Curcio sarebbero stati influenzati negativamente da cinque magistrati, Luigi De Magistris, Vincenzo Galgano, Paolo Mancuso, Arcibaldo Miller e Umberto Marconi, tutti legati al distretto di Napoli, e tutti e cinque suoi acerrimi nemici dai tempi di un dissidio che si aprì nel 1999 tra alcuni sostituti procuratori e il procuratore Cordova, per il quale lo stesso Papa aveva parteggiato con sommo scorno degli altri cinque.
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