Quest’anno la guerra in Afghanistan costerà agli Stati Uniti 113 miliardi di dollari. E il prossimo 107. Praticamente un milione di dollari all’anno per ogni soldato schierato nel Paese. Una cifra decisamente importante, specialmente per una nazione alle prese con una dura crisi economica. Per questo motivo è improbabile che l’argomento delle spese non verrà preso in considerazione quando, nelle prossime settimane, il presidente Usa Barack Obama dovrà decidere modalità e tempistica del ritiro delle truppe dall’Afghanistan.
Anche se, probabilmente, nelle prossime riunioni del gabinetto di guerra di Obama non si parlerà direttamente dei costi, fa notare il Washington Post, questi influenzeranno notevolmente il giudizio dei consiglieri civili. Si ripeterà quindi quella battaglia tra militari e civili a cui abbiamo assistito quando si è dovuto decidere del surge da inviare al fronte.
Adesso, i fautori di un ampio ritiro di truppe, capeggiati dal vice presidente Joe Biden, sostengono che i recenti successi nei confronti dei talibani e di al Qaeda giustifichino un rapido disimpegno, sottolineando il fatto che questi progressi sono frutto dell’azione delle forze speciali e non della costosa operazione militare. E proprio l’uccisione di bin Laden ha ridato slancio a questa tesi, secondo cui, invece di spendere ingenti uomini e risorse nel tentativo di controllare capillarmente un territorio fin troppo ostile, sarebbe preferibile ricorrere maggiormente ad azioni mirate (e segrete) contro obiettivi precisi.
Lo stesso Biden, ai tempo dell’invio di rinforzi, aveva proposto di rinunciare fin da subito al controllo delle zone rurali, per concentrarsi nel garantire la sicurezza nei pochi grandi centri abitati e nell’eliminazione dei leader dei gruppi terroristici. Del resto l’obiettivo, sosteneva il vice presidente, è quello di sconfiggere il terrorismo ed evitare attacchi sul suolo statunitense, non di governare l’Afghanistan e, tantomeno, gli afgani.
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